Tempi nuovi: recensione
TEMPI NUOVI
Recensione al film
Un documentario originale
e di pregio artistico
dove ricordi ed emozioni
si fanno lirica
di Elisa Pedini
Temps nouveaux (Tempi nuovi) per la regia di François Caillat e sceneggiatura di Cristina Comencini, è un documentario molto particolare e di deciso valore, presentato alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Special Screening.

Una produzione talmente incantevole da togliere il fiato.
Probabilmente, poiché lui per primo emotivamente impattato, il regista è riuscito a sublimare uno dei più duri spaccati di vita vissuta e realtà storico-sociale, in un’opera di puro lirismo a forte impatto emotivo, donandoci una perla cinematografica, lirica e storica a un tempo.
Regia geniale giocata su un duplice contestuale piano: quello della vita vissuta reale e quello della vita vissuta passata, che s’è fatta leggenda.

Inquadrature di sterminati campi dove spighe e papaveri danno sfoggio della loro naturale bellezza in un’aura di pace assoluta aprono il film.
Già, l’anima viene trasportata in un “altrove” dove il tempo sublima e lo spazio si fa infinito.
Le famiglie dei minatori.
Un podere bellissimo che parla di tempi passati, disabitato, ma abitato dai ricordi; di capitalismo, ma anche d’intimità, di «famiglia» nel suo valore più pieno.
Una miniera, abbandonata anch’essa, ma ancor perfetta che parla di sacrifici e duro lavoro.
Esattamente, è questa l’atmosfera in cui si ritrova trasportato lo spettatore.
Tempi nuovi è ambientato a Villerupt, in Lorena, città mineraria, nonché luogo di nascita del regista.

Oggi, vi s’incrociano auto di lusso; ma nel XX secolo migliaia di italiani vi emigrarono per lavorare nelle miniere e dare un futuro alle loro famiglie.
Infatti, era una località operaia, che ruotava attorno alle miniere di acciaio e ferro.
«Del passato non resta che una leggenda cantata», ci dice il regista ed è proprio in essa che con maestria ci conduce.
Così, il passato si fa mito e s’eleva nell’empireo della lirica su libretto di Valerio Magrelli e musica di Carlo Crivelli.

Ne consegue che tutto prenda il sapore eterno dell’opera, dove in un tempo “altro” il passato sublima in un presente immortale.
Lì, tra la realtà materica di splendide mura di forti mattoni e persiane in legno e l’eternità della musica e del ricordo.
Poi, c’è il piano della realtà vera e presente.
Quello della vita dei figli e dei nipoti di quelle famiglie di operai.
Così, senza rotture, ma come un naturale divenire, la realtà ci si mostra contemporanea, nelle esperienze, nei lavori scelti da questi eredi e nei loro racconti di famiglia.
Un mélange perfettamente dosato che rende Tempi nuovi un continuum armonico e sublime.
Riprese di paesaggi infiniti si alternano a interni di pura poesia, sia fisici che metaforici.
Un prodotto incantevole, emozionante, dove cinema e opera si fondono per trasportare lo spettatore, con delicatezza, dentro a una delle più spietate realtà lavorative, sociali e storiche dell’età moderna.

Ne risulta estremamente impattante il pensare a come, grazie a quei sacrifici e a quelle lotte, oggi, quegli eredi, che siamo poi un po’ tutti noi, possano vivere le loro professioni e le loro vite.
Guadagnavano meglio di tutti gli altri operai, i minatori; ma morivano anche estremamente giovani come ci testimoniano le interviste ai figli.
Tuttavia, come non compartecipare alla soddisfazione negli occhi di quella giovane, bellissima donna, che, oggi, ha comprato il suo appartamento dove un tempo c’erano gli uffici del padrone del nonno. Parla d’una sorta di rivalsa sociale dei suoi genitori prima e sua, oggi.
In conclusione, Tempi nuovi è un documentario davvero originale sia da un punto di vista puramente tecnico, sia per l’intelligenza con cui tratta l’importante tematica di cui parla.