L’OMBRA DI GOYA: recensione al film

L’OMBRA DI GOYA

 

RECENSIONE AL FILM

 

IMPATTANTE E DELICATO, FORTE E FRAGILE

FRANCISCO GOYA RIVIVE NELLO SCHERMO

ATTRAVERSO LE SUE OPERE

E UN NARRATORE D’ECCEZIONE: JEAN-CLAUDE CARRIÈRE

 

SOLO IL 6, 7, 8 MARZO 2023

 

 

 

di Elisa Pedini

 

 

 

L’ombra di Goya arriva al cinema (tutte le sale su: www.nexodigital.it) per sole tre date: 6, 7, 8 marzo 2023.

Per la regia del pluripremiato José Luis López-Linares e scritto da Jean-Claude Carrière e Cristina Otero Roth.

L’ombra di Goya è stato presentato all’ultimo Festival del Cinema di Cannes ed è il nuovo docufilm distribuito da Nexo Digital per il progetto La grande Arte al Cinema.

Questa volta, il mondo incantato di questa straordinaria iniziativa ci porta dentro il mondo di Francisco Goya, attraverso il racconto di Jean-Claude Carrière, sceneggiatore geniale francese, purtroppo scomparso nel 2021 e per l’esattezza durante le ultime riprese per questo docufilm.

Carrière ha caratterizzato il cinema coevo con un suo proprio surrealismo lucido e sottile, osservando e cogliendo tutte le incongruenze, le luci e le ombre della società borghese contemporanea.

Dunque, visto così, non poteva che essere il miglior protagonista-narratore d’un artista come Goya.

Infatti, la sua, non è una narrazione; ma un cammino, mano nella mano, di due grandi artisti che, sordi entrambi, hanno saputo segnare la loro epoca coeva, rivoluzionandola in un certo qual senso.

Ecco che, allora, si crea la magia e lo spettatore non sa più se sia Carrière a parlarci di Goya o viceversa.

Pertanto, il film si trasforma in una sorta di testamento artistico, una vera e propria lettre d’adieu, colma d’amore per l’arte e la sua magia. Commovente. Coinvolgente.

Con una delicatezza unica e grande passione, lo sceneggiatore e regista francese ci conduce dentro le tele, facendoci cogliere particolari e sfumature che difficilmente verrebbero notate in modo autonomo.

L’ombra di Goya apre a Fuendetodos, dove Francisco José de Goya y Lucientes nacque e Jean-Claude Carrière si sente a suo agio, a casa sua.

La mimesis tra i due, o meglio, la simbiosi, visti i caratteri e le caratteristiche artiche di entrambi, è talmente evidente da sembrare materica, come una presenza terza sullo schermo.

Goya nella sua pittura imprime la passionalità della sua terra: quella d’Aragona, conservandone il suo lato brutale e violento; ma anche il lato sensibile e compassionevole.

Inoltre, la sua estrema capacità di leggere le anime della gente rende i suoi personaggi e le sue tele drammaticamente vivi e Carrière ci porta proprio dentro quei capolavori, esattamente dentro l’anima di Goya, che lui può sentire e comprendere molto bene.

“La Solana”, ad esempio, abbreviazione de La Marchesa della Solana, il di cui reale titolo è Doña Rita De Barrenechea ci mostra una giovane donna, molto bella e fiera; ma anche molto malata.

Ella commissiona a Goya un ritratto perché vuole lasciare alla sua famiglia un’immagine di sé bella e viva, prima che il male la consumi.

Così, l’artista sente quell’anima e ne coglie la fragilità, ma a un tempo stesso, la forza. La coglie a tal punto che l’immagine di quella donna ha attraversato i secoli.

In particolare, a caratterizzare la pittura di Goya è la pennellata allegra, fluida, luminosa.

Esattamente, peculiarità di tocco che restano anche nelle rappresentazioni più cupe, brutali e violente di Goya, come possono essere le Pitture Nere, che portano tutto il peso, il dolore e la disillusione delle atrocità della Spagna d’inizio ‘800.

Come giustamente viene più volte ribadito nel corso del film, Goya fu un pittore moderno, nel senso che le sue tecniche possono essere tranquillamente utilizzate nella modernità.

D’altronde, Van Gogh vide Goya. Si potrebbe quasi parlare d’un passaggio di testimone.

Con certezza, Carrière riesce a portarci dentro l’anima di Francisco e a farcene toccare la profonda solitudine.

Isolato in un mondo senza suoni, egli fu solo anche e soprattutto nel cammino della sua arte: il suo maestro, Diego Velázquez, era esistito due secoli prima e i suoi diretti eredi si chiameranno Manet e Picasso, ma lui non li conoscerà mai.

Naturalmente, con un mondo interiore di questa portata non poteva che essere il più chirurgico “lettore” dell’umanità mai esistito. Sì, perché dire che Goya osservasse l’Uomo non gli rende sufficiente merito per il carico di emozioni e pensieri che egli riesce a fissare per sempre negli occhi e nelle movenze dei suoi personaggi.

Dal 1799, Goya lavora a I Capricci; una raccolta, un album diremmo oggi, di 80 incisioni.

Un’opera straordinaria e rivoluzionaria, nonché eterogenea. Una sorta di flusso di pensieri che si traducono in immagini.

Al tal proposito, ho trovato semplicemente divino il processo d’incisione e stampa che viene mostrato nel film.

Altresì, straordinaria la riflessione sull’incisione più famosa, oltre che considerata letteralmente un’icona filosofica: Il sonno della ragione genera mostri.

Pur tuttavia, in spagnolo, la parola sueño è polissemica, nel senso che può significare sia “sonno” che “sogno”.

Seppur parrebbe che lo stesso Goya ne abbia dato la spiegazione, le interpretazioni più scomode verso le idee illuministiche della scritta di questa acquaforte restano a tutt’oggi tenute in considerazione e il film le considera tutte.

In più, ho trovato molto interessante l’interesse di Francisco Goya per la fisica e gli astrofisici perché «vedono l’invisibile». Esattamente come gli artisti sono capaci di vedere in noi cose che noi non vediamo.

Infatti, specifica Carrière della visione goyana, ognuno vede ciò che vuole e interagisce con l’altro sulla base di ciò che vede.

Naturalmente, il film non poteva non considerare «le Maye». Quella donna attraente, seducente, penetrante. Quello sguardo che fissa dritto negli occhi chi la guarda e sembra seguirlo ovunque. Fiera, accattivante, vera e a un tempo, distante.

«(…) Quale preferisco? (…)» si chiede Carrière.

È vero, tra la vestita e la nuda non si sa quale scegliere.

Infine, Jean-Claude ci porta dentro al ritratto della Cayetana, donna estremamente bella che morì appena quarantenne, ripetutamente ritratta e profondamente amata da Goya.

Maria Teresa Cayetana de Silva, Duchessa di Alba, austera, seppur vibrante, sensuale.

In tutti i quadri Cayetana punta l’indice, indica qualcosa; ma che cosa?

C’è solo il nulla.

Carrière ce lo spiega, con i consueti delicatezza e amore. Come ha fatto per tutto il film, ci porta dentro quelle tele e ci fa capire che no, Cayetana non sta indicando il vuoto ed è così che non si può che sentirsi riempire il cuore d’amore.

Il perché, però, ve lo lascio scoprire al cinema.

Concludendo, un film davvero da vedere per emozionarsi d’arte e d’amore.

 

 

 

2 Replies to “L’OMBRA DI GOYA: recensione al film”

    1. Grazie Laura per la tua testimonianza e per il tempo dedicato! Sono sempre molto felice nell’apprendere che il mio lavoro doni qualcosa ai miei lettori. Un forte abbraccio, Elisa

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