EDUCAZIONE INNOVATIVA: IL PERSONAGGIO: INTERVISTA A MARIO POLITO

L’ARTE D’INSEGNARE: «LA LEZIONE COME UN’AVVENTURA INTELLETTUALE»

 

 

INTERVISTA A MARIO POLITO

 

 

 

 

di Elisa Pedini

 

"Kainós Magazine® Educazione Innovativa: Il Personaggio: intervista a Mario Polito"
Ph By Mario Polito

 

Per l’appuntamento con la rubrica “Il personaggio” su “Kainós Magazine®”, voglio presentarvi un altro vanto italiano: il dr. Mario Polito.

Il suo lavoro e la sua persona hanno fama nazionale, quindi, non hanno certo bisogno di presentazioni.

Tuttavia, io ho avuto l’onore e il piacere, non solo di leggere alcune sue pubblicazioni, che vi riporto nei consigli di lettura in calce all’articolo, ma anche di conoscerlo per potervi offrire questa sua intervista.

Pertanto, consentitemi d’introdurvi, tramite le mie parole, un professionista eccellente; ma anche un uomo straordinario.

Francamente, se dovessi descrivervelo in toto, dovrei utilizzare un intero vocabolario di aggettivi.

Pertanto, mi limiterò a riassumervi quanto ha fatto e fa, prima di lasciargli la parola.

Mario Polito, è psicologo, psicoterapeuta, pedagogista, conferenziere, scrittore e naturalmente, docente, impegnato non solo a scuola; ma anche nella formazione.

Laureato in filosofia, psicologia e pedagogia, è iscritto Albo degli Psicologi e all’Albo degli Psicoterapeuti della Regione Veneto.

Ha sviluppato la propria ricerca in tre gruppi di interessi: la pedagogia, la didattica e la psicoterapia.

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Ph by Mario Polito

A tal riguardo, Mario, ha concentrato la sua attenzione proprio sul metodo di studio, sulle scienze cognitive, sulla motivazione, sull’apprendimento cooperativo, sulla comunicazione e sulle relazioni in classe e in famiglia.

In più, è autore di ben venticinque opere educative molto importanti, in cui illustra i suoi metodi per l’eccellenza nell’apprendimento e nell’insegnamento.

Obiettivi questi, che formano il cuore della politica educativa europea e per conseguenza, della nostra Accademia.

Dunque, è ben facile comprendere, il perché io abbia molto amato le sue pubblicazioni e il perché la sintonia con Mario sia stata immediata.

A tutto ciò, si aggiungono una sensibilità profonda del suo essere, una lungimiranza sbalorditiva e un’umiltà, tipica dei sapienti, che lasciano veramente incantati.

Qui, ringrazio, di nuovo, Mario Polito, per la magnifica occasione di crescita, culturale e umana, che mi donato, con le sue opere prima e con la sua persona, poi.

Ora, lascio a lui, la parola.

 

 

D: Mario, potresti raccontarci da dove è partita la tua ricerca verso una metodologia volta all’eccellenza nell’insegnamento e nell’apprendimento?

MP: Tutto è iniziato con la docenza, sia alle scuole medie, che alle superiori.

La mancanza di metodo nei ragazzi li obbligava a fare un lavoro immenso.

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Ph by Mario Polito

Ciò, mi procurava disagio e sofferenza.

Dunque, cominciai a interrogarmi sui perché accadesse tutto questo e iniziai la mia ricerca di soluzioni.

Da qui, prende origine il mio primo libro sul metodo di studio.

A tal riguardo, la mia tesi in psicologia era proprio incentrata sui processi mentali. Ovvero, il tema della scienza applicata al processo del pensiero.

Ne consegue che scrissi il mio primo libro pensando che proporre un metodo e spiegarne le dinamiche fosse sufficiente.

Tuttavia, dal confronto con i docenti, compresi che fermarsi al metodo non bastava.

Infatti, venne fuori che il vero problema constava nella motivazione, sia per gli studenti che per i docenti.

In conclusione, compresi che la ricerca andava focalizzata sulla comunicazione all’interno della classe e sull’apprendimento cooperativo.

 

 

D: «Motivare»: ovvero, dare uno scopo, un senso, un valore a quanto viene trasmesso ai ragazzi; creare una connessione tra studio e vita.

Potresti per piacere approfondire quest’aspetto per i lettori?

MP: Certamente! «Motivare» significa metterci entusiasmo, metterci l’anima.

Significa quel pesante investimento emotivo che dovrebbe metterci il docente.

L’insegnante è una guida, molto importante; ma soprattutto è colui che deve “accendere” le menti, parafrasando Plutarco, che la vostra stessa Accademia cita.

Infatti, la cultura è una potenza indistruttibile. Un bene che, una volta acquisito, nessuno può togliere.

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Ph by Mario Polito

Ne consegue che il messaggio che va passato agli studenti è il valore della crescita personale, che la cultura sottende, il valore dell’intelligenza.

Purtroppo, la coscienza di questi valori i ragazzi non ce l’hanno, guardano la spendibilità del sapere.

Da ciò, ne consegue che tutto ciò che non viene percepito come spendibile, venga vissuto come imposto e quindi, rifiutato, perché pesante.

Al contrario, quello che va trasmesso ai ragazzi è l’interesse per l’apprendimento, è l’amore verso la conoscenza.

Per esempio, se un autore viene presentato ai ragazzi solo come una cosa da studiare, solo come un dovere, avulso da loro, annoierà e risulterà pesante.

Contrariamente, se l’autore viene introdotto, evocato, nella sua dimensione storica e umana e ne viene fatta sentire l’autenticità, allora, incuriosirà, interesserà.

Inoltre, è molto importante passare il concetto ai ragazzi che dietro ogni risultato ci sono fatica, allenamento, sudore, sacrificio, che sono direttamente correlati alla soddisfazione, al piacere, della conquista.

La società in cui viviamo è difficile ed è importante passare questi messaggi.

 

 

D: Il piacere d’imparare e il piacere della conquista, due concetti non solo bellissimi, ma anche molto importanti.

A tal proposito, Mario, cito proprio le tue parole: «(…) il bisogno naturale di apprendere (…) chi smette d’imparare, smette di vivere».

A mio avviso, una frase di straordinaria bellezza.

Potresti spiegarla ai nostri lettori, per favore?

MP: C’è una grande soddisfazione nel dire: «Ho capito!».

Il cervello dà una carica positiva quando il mondo, da complicato, diviene chiaro e quindi, controllabile.

Non c’è soltanto il bisogno di risolvere situazioni complesse e problematiche, va ben oltre.

Qui, entra in gioco anche il piacere che si prova.

Il vero leader è quello che non vede i problemi; ma le soluzioni agli stessi.

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A tal proposito, basti riflettere sul fatto che tutte le discipline che studiamo sono nate da un problema e dalla domanda che qualcuno s’è posto: «Come risolviamo questo problema?».

Ne consegue che la visione cambia.

La cultura assume un ruolo impegnato e comunitario. Ovvero, socialmente utile, un apporto allo scibile dell’intera umanità.

Ecco, il motivo per cui, bisogna condurre gli studenti a domandarsi sempre il “perché”.

Bisogna dimostrare loro che ciò che si studia è utile per vivere, quindi per essere felici.

In altri termini, dietro al bisogno d’imparare, c’è proprio questo: il bisogno di vivere.

Mi spiego con un esempio, che riassumo brevemente: ho sottoposto, a un campione di 1200 studenti, un questionario.

Diluite all’interno del test c’erano tre domande, diciamo, “chiave”: la prima, “ti piace studiare?”, la seconda: “ti piace apprendere?” e la terza “ti piace apprendere cose nuove?”.

Le risposte al questionario hanno evidenziato i seguenti dati: alla prima domanda ha risposto sì il 50% degli interrogati; alla seconda domanda ben il 70% ha dato risposta affermativa, evidenziando come il piacere d’apprendere sia gratuito.

La curiosità, la spinta verso la conoscenza, i ragazzi, te le danno d’istinto.

Alla terza domanda la percentuale dei sì è salita all’80%.

In conclusione, dall’analisi dei dati raccolti, se ne deduce che il bisogno d’apprendere sia naturale ed è vita.

Ecco, è questa cosa che va presentata ai ragazzi.

 

 

D: Relativamente, proprio, al bisogno d’apprendere e di sapere, cito, ancora, le tue parole: «Il bisogno di sapere, avvertito come tensione, come mancanza, spinge l’uomo alla ricerca, a interrogarsi e a interrogare gli altri».

Qui, Mario, ti rifai, esplicitamente, al socratico “sapere di non sapere”.

Potresti spiegare ai lettori che cosa intendi?

MP: Ecco, sì, è un aspetto importante.

Tra le cause di demotivazione, c’è proprio la presunzione di sapere.

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Ph by Mario Polito

Oggi, i ragazzi fanno confusione tra la facilità d’accesso all’informazione e il “sapere”, veramente, qualcosa.

Le nuove tecnologie hanno introdotto una tale facilità d’accesso a un numero spropositato di informazioni che s’è perduta la percezione di “non sapere”.

Cliccare su Google, non significa né capire quello che si legge, né conoscere.

Inoltre, non significa, neppure, essere in grado di discernere e selezionare l’infinità di informazioni che si trovano nel web.

Quindi, quello su cui bisogna far riflettere i ragazzi è proprio sull’umiltà di fronte all’immensità dello scibile umano.

In altre parole, come ci si attende che un professionista sia ferrato nel suo campo e competente, altrettanto, bisogna pretenderlo da se stessi.

Per tale ragione, io invito a portare gli studenti alla consapevolezza dell’ignoranza, al fine di creare quella tensione verso la conoscenza, verso il miglioramento, che, come detto, è innata.

Ne consegue che il docente debba tornare ad applicare quell’ironia che usava Socrate, proprio per pungolare i suoi studenti, o interlocutori che fossero.

 

 

D: Ecco e qui, approfondirei un altro tuo concetto, che ho molto amato, ovvero: «la lezione come un’avventura intellettuale».

Potresti spiegare ai lettori questa definizione meravigliosa?

MP: Certamente! Ecco, diciamo che intendo il contrario esatto della lezione stile “lista della spesa” che non dà nulla e non porta a nulla.

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Ph by Mario Polito

Al contrario, si deve andare a fondo, masticare e rimasticare i contenuti, per e con gli studenti, impiegare emozioni, coinvolgimento e apprendimento cooperativo.

Voglio portare un esempio su una lettura dell’Infinito di Leopardi, dove l’autore è stato introdotto, ne sono stati evocati condizioni e sentimenti.

Quindi, i ragazzi hanno letto il testo con consapevolezza e con sentimento.

Poi, sono stati invitati alla riflessione: «Che risonanze muove questa poesia?».

Qui, abbiamo potuto notare come le analisi differissero anche in base al genere.

I ragazzi, ad esempio, hanno posto attenzione sulla struttura dei versi, sulla sonorità, sulle rime e sulle parti stilistiche.

Mentre, le ragazze, sono state capaci di cogliere anche le emozioni e le implicazioni che certi termini sottintendevano.

Ne consegue, che non basta passare una nozione, bisogna portare gli studenti a sentirla propria a interiorizzarla.

Faccio ancora un esempio, in campo scientifico stavolta.

La legge della relatività di Einstein. La formula relativistica è questa: E=mc2, ok; ma, com’è arrivato alla formula? Quale problema da risolvere lo ha condotto a giungere a tale formula? Da cosa è dipesa e a cosa ha portato?

Ne consegue, che per incuriosire gli studenti e per motivarli, è necessario usare creatività nella didattica, o il rischio è quello di perdere i nostri ragazzi.

 

 

D: Esattamente. Infatti, l’ultima riflessione è relativa a una frase di Don Milani che tu citi e che riprendo, perché molto toccate: «La scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde».

Ritengo che sia molto significativa, ma, potresti spiegarcela?

MP: Sì, ritengo che con questa frase, Don Milani, abbia davvero colto il nocciolo della questione.

Il concetto di perdita è molto profondo e ha ripercussioni pesanti sulla società.

Quando uno studente abbandona gli studi, non s’è perso solo “uno studente”, s’è persa una persona, un cittadino, s’è perso il suo potenziale, il suo valore.

Se vogliamo vederla in maniera più pragmatica, allora, consideriamo la perdita economica.

Ogni studente costa allo Stato, quindi, a noi, circa € 8000 all’anno.

Se ripete l’anno, ce ne costa altrettanti.

Qualora abbandoni gli studi, bisognerebbe investire ancora di più per dargli un minimo di preparazione, almeno pratica.

Se si perde completamente, allora, sì, che le spese diventano pesanti: disagio sociale, spese medico-riabilitative, o giudiziali.

Generalmente, a questo non si pensa affatto.

Eppure, è un fatto.

È necessario prevenire queste situazioni e tenerci stretti i nostri ragazzi.

Riallacciandomi anche a quello che fate nella vostra scuola quotidianamente, bisogna fare in modo che ogni lezione sia “teatrale”, ovvero, vissuta appieno.

Interpretare e immedesimarsi in quanto si studia, porta al coinvolgimento e alla passione.

L’obiettivo cui puntare è proporre ai ragazzi una didattica additiva.

In altri termini, ogni parola detta durante una lezione dev’essere piena di anima, di amore.

 

 

 

Consigli di lettura:

 

 

Rubrica “Il personaggio” uscite precedenti:

 

 

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