Lezioni di Letteratura: Alexander Pope

Rubrica a cura di: Prof.ssa Elisa Christina Anna Pedini-Pelzer

Docente presso Dipartimento di Lingue e Linguistica e Dipartimento di Business and Management

 

 

 

LEZIONI DI LETTERATURA INGLESE:

 

Alexander Pope e The Rape Of The Lock

 

 

TRA OCHE GIULIVE ED EROI DI CARTAPESTA

 

 

 

Siamo nel 1688 a Londra, quando Alexander Pope nasce.

Dalla fine del XVII secolo a tutta la prima metà del XVIII, l’Inghilterra conosce un periodo di stabilità, grandezza e prosperità.

Grandi scienziati e filosofi, quali: Newton, Cartesio, Locke, influenzano il periodo.

È l’età dell’Illuminismo.

In letteratura, il periodo che va dal 1702 al 1760 viene denominato “Età Augustea”1.

Politicamente, l’Inghilterra è diventata una monarchia costituzionale e Anna è sul trono2.

La società in cui Alexander Pope, intelligente, acuto, sarcastico, cresce, è caratterizzata da un “nuovo uomo”: civilizzato, colto, razionale, sicuro di sé, calcolatore.

Londra è il centro della vita letteraria e culturale. I Caffè sono il nuovo punto d’incontro degli uomini colti e raffinati. La società sente l’esigenza di essere informata e istruita. Nasce e s’afferma il giornalismo propriamente detto.

In verità, il piccolo Alexander non ha vita facile.

Infatti, la religione dei suoi genitori, cattolici, gli impedisce d’effettuare studi elevati, poiché l’accesso tanto alle scuole pubbliche quanto alle università, gli è interdetto3.

Inoltre, una grave malattia, contratta a dodici anni, lo lascia malaticcio e deforme.

Tuttavia, ben lungi dal farsi fermare e soprattutto dall’arrestare il suo genio, Alexander si forma una vasta cultura da autodidatta, basata soprattutto sui classici e su autori italiani e francesi e si dedica completamente alla letteratura.

Ha solo 16 anni quando comincia a scrivere, seppur inizi a pubblicare solo cinque anni più tardi, nel 1709.

Pertanto, completamente calato nella sua realtà, Alexander Pope ne rispecchia tutte le contraddizioni: egoista, ma generoso; gentile, ma aggressivo; orgoglioso, ma umile; cinico; ma umanitario.

Inoltre, è un poeta pubblico che scrive di tematiche pubbliche. Esalta le virtù augustee; ma non esita a metterne a nudo tutta la pochezza e la superficialità.

Infine, da uomo moderno qual è, è il primo poeta a vivere dei suoi versi e a dipendere, quindi, dai lettori piuttosto che da un patron. Totalmente libero nelle posizioni politico/sociali.

Padre del poema eroi-comico, usa il distico eroico che manipola con grande varietà e sottigliezza. Usa frasi secche che terminano con punti, suonando come epigrammi.

Pertanto, emblematico dell’uomo e quindi, del poeta, è il suo capolavoro: il poemetto The Rape of the Lock.

È il 1712, quando lo pubblica in prima versione. Nel 1714, lo rimanipola e successivamente ancora.

Commissionatogli da tal John Caryll, a seguito d’una terribile evenienza: Lord Robert Petre, liquidato senza indugi, ha tagliato una ciocca di capelli a Miss Arabella Fermor.

A causa di tale imperdonabile affronto, le due famiglie sono entrate in guerra.

Dunque, Alexander Pope, appena ventiquattrenne, ma già considerato il più grande poeta coevo, viene chiamato a far da paciere tra le due fazioni, buttando la questione sul ridere.

In effetti, già dal titolo viene da ridere, perché è un pun: “rape” nell’inglese di Pope gioca la sua doppiezza di “ratto/rapimento”; ma anche di “stupro”.

In altri termini, il puerile dispettuccio d’un ragazzetto a una ragazzetta viene messo sullo stesso piano d’uno dei più aberranti atti criminosi.

Questa giustapposizione di temi e toni regge l’intera struttura del poema: puerilità vs. abiezione, banalità vs. serietà, eroicità vs. trivialità, ecc. Senza contare l’aulico distico e il vibrante stile eroico applicati alla più insignificante delle tematiche.

Infatti, il poema apre proprio con un epigramma4 di Marziale5.

Peccato che a Politimo, Alexander Pope sostituisca Belinda, protagonista del poema che, sarà pure bellissima; ma è totalmente vacua e l’autore non esita a farcelo capire.

Dopo l’epigramma, segue la lettera indirizzata ad Arabella Fermor, ov’egli spiega i termini e i concetti essenziali per comprendere il poema e soprattutto, sottolinea che Belinda è del tutto immaginaria e in nulla assomiglia ad Arabella se non per la bellezza.

E come non ridere?!

Per la serie: sei una povera oca giuliva, lo penso io come tutti; ma proprio in forza del fatto che non capisci niente, mi basta dirti che Belinda non sei tu perché tu non veda le analogie e viva felice.

Tuttavia, nella sua taglientissima ironia che si fa dissacratoria dei frivoli costumi del suo tempo, Alexander deve lusingare la Fermor, perché lo scopo del lavoro è far riconciliare le due famiglie.

Infatti, tal concetto viene ribadito anche nel poema6.

L’opera apre con tutti i sacri crismi del poema eroico, introducendo subito le tematiche più classiche.

«dire offense» → tema della guerra

«amorous causes» → tema dell’amore

«I sing … Muse! …» → invocazione alla Musa

«…This verse to Caryll … is due» → dedica al committente

«This, even Belinda …» → introduzione dell’eroina protagonista

Ecco qua, l’eroismo c’è tutto e il sarcasmo, pure.

La “fiera offesa”, è il dispettuccio d’un ragazzetto orgoglioso in risposta alla vacua civetteria d’una ragazzetta viziata. Le “amorose cause” altro non sono che: futile gioco di potere seduttivo-manipolatorio, per un verso; e di puntiglio d’orgoglio, per l’altro.

Ben evidentemente, Belinda sta a Elena di Troia, come una bambola di cartapesta sta a una statua di marmo.

La nostra protagonista è eroina del nulla.

E il grande Alexander non tarda a dircelo molto chiaramente.

Infatti dal v.21 introduce gli spiriti soprannaturali7.

Questi, come gli dèi dei greci e dei romani, possono essere benevoli o malevoli, ma comunque, sempre, direttamente impicciati nelle questioni umane.

Inoltre, attirarsi l’aiuto e il favore d’un dio, significa, naturalmente, attirasi l’ira e lo sfavore d’un altro.

Gli Spiriti servono a Pope per affondare l’attacco a una società basata sull’apparenza e sulla scarsa moralità. Infatti, a proteggere Belinda sono le Silfidi. Se da un lato rimarca il fatto che la giovane fanciulla sia un’oca giuliva; dall’altro apre il tema della castità (vedasi nota 7).

In breve, le Silfidi divengono un’allegoria dei comportamenti convenzionali delle donne del tempo. Interesse primario delle “civette” è sposarsi il prima possibile e così imparano, sin da piccole, l’arte di manipolare con la seduzione i loro spasimanti per non compromettersi. Queste “civette” sono prive di valori morali, ma governate da un meccanismo sociale molto elaborato.

Pertanto, la società è colpevole tanto quanto queste donne.

In tutto ciò, Pope non risparmia neppure gli uomini dal giudizio negativo.

Di fatto, la competizione dei giovani Lord per le attenzioni delle belle donne, altro non è che spasmodica attenzione all’orgoglio e maniacale ostentazione.

Così, in questa tagliente ironia, la bella Belinda che s’imbelletta8 diventa la parodia di due tra i più sublimi riti dell’epica: quello religioso propiziatorio prima della guerra e quello della vestizione del soldato.

Belinda diviene dunque il sacerdote e l’immagine riflessa che ella adora, la dea e la «inferior priestess»9, altro non è che la cameriera Betty. Peccato che le armi del soldato, qui siano spille e belletti. In quell’adorazione dell’immagine di sé, Pope vibra il fendente a una società dove l’apparire ha più importanza dell’essere.

Se vogliamo, ancor più ridicolo è il passaggio in cui «The adventurous Baron»10, altro imponente eroe di cartapesta, brama e decide la sua grande conquista: i riccioli di Belinda.

Pronto, come ogni eroe, alla battaglia, costruisce un altare propiziatorio11 su cui sacrifica i suoi oggetti più cari, che, però, notare, sono: tre giarrettiere, un guanto spaiato e i trofei degli amori precedenti.

Insomma, degne effigi di cotanto eroe!

Così, fra meravigliosi versi di altissima poesia, si dipana, di fatto, la più spassosa fiera della banalità.

 

 

 

1 L‘aggettivo “augusteo” in letteratura significa “grandezza” e si riferisce all’Imperatore Augusto e alla letteratura del suo tempo che era razionale, puntuale e impegnata politicamente.

2 Anna, sorella di Mary II, che era la figlia protestante di James II, nonché moglie di William III, detronizzatore di James II e protagonista assoluto della Glorious Revolution del 5 novembre 1688. Anna sale sul trono nel 1702 alla morte del cognato. Sotto il suo regno si portano a compimento due gravose e annose questioni per l’Inghilterra: 1707 Act of Union che sancisce l’unificazione tra Scozia e Inghilterra con un solo Parlamento a Westminster; 1713 Pace di Utrecht che pone fine alla ventennale guerra con la Francia, sconfitta dal generale Churchill e i suoi eserciti.

3 Ostacolo che si porterà dietro per tutta la vita. Infatti, nonostante le plurime candidature a “poet laureate”, la sua religione non gli consentirà mai la nomina, perché i cattolici erano ineleggibili a cariche pubbliche.

4 Epigrammi, Libro XII, 84: epigrafe dedicata a Politimo

5 Marco Valerio Marziale, poeta romano, considerato il più grande epigrammista latino.

6 Canto II, vv 15-18, in “The Norton Anthology”, Vol. 1, pg. 2238

7 Come lo stesso Pope c’informa nella lettera ad Arabella Fermor, s’ispira all’antica dottrina degli Spiriti dei Rosa Croce. Secondo la leggenda, trattavasi d’un ordine segreto fondato nel 1407 da un monaco tedesco. Secondo tale dottrina i quattro elementi sono abitati da Spiriti: le Silfidi per l’aria, gli Gnomi per la terra, le Ninfe per l’acqua e i Salamandri per il fuoco. Gli Gnomi o demoni della terra sono creature maligne, mentre le Silfidi sono creature benevole. Qualunque mortale può venire a contatto con una Silfide, a condizione di preservare la propria castità. Sempre secondo la dottrina, quando le donne muoiono ritornano al loro elemento originario. A ogni tipo di personalità femminile corrisponde un umore, che viene convertito in Spirito. Le Silfidi sono quelle che in vita erano “civette”, o “coquettes” come le chiama Pope nel suo poema.

8 Canto I, vv.121-148, in “The Norton Anthology”, pgg. 2237-2238. Questo passaggio è noto come “The Toilet”

9 Ivi, v. 127, pg. 2238

10 Canto II, v. 29, in “The Norton Anthology”, pg. 2239

11 Ivi, vv. 35-46. Questo passaggio è noto come “The altar”

 

 

 

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