“1945”: AL CINEMA DAL 3 MAGGIO – recensione al film

1945

 

UN FILM DI FORTE IMPATTO PSICOLOGICO ED EMOTIVO

 

 

 

"Kainós Magazine® 1945 recensione al film"

di Elisa Pedini

 

 

“1945”, per la regia di Ferenc Török e basato sul racconto “Homecoming” di Gábor T. Szántó, nelle sale italiane dal 3 maggio, è un film straordinario. Un’affermazione che non ho ritrosia ad avanzare, con convinzione.

Vedo moltissimi film, ne recensisco solo alcuni, pochissimi, quelli che considero i migliori: sia per tematica, che per tecnica.

“1945” è una pellicola solida, ben costruita, coinvolgente e soprattutto, di fortissimo impatto, psicologico ed emotivo. Frutto d’una regia intelligente, geniale direi, che vi condurrà, fotogramma dopo fotogramma, nel gorgo del nero abisso dell’animo umano.

Inoltre, la tematica viene trattata da un punto di vista particolare, poco usuale, se non del tutto inedito.

Una pellicola calma, morbida, in apparenza.

Nulla d’eclatante avviene, in apparenza.

Due avvenimenti: un treno che arriva il mattino e un treno che parte la sera. Tutto quello che accade nel mezzo, è dovuto, solo ed esclusivamente, alla natura umana e alle brutalità e bassezze di cui solo essa è capace.

In realtà, quello che vedrete, s’insinuerà nel vostro cervello, vi porterà a farvi tante domande e poi, piano piano, vi fornirà le risposte, una dopo l’altra, agghiaccianti, detonanti.

Proprio dal cervello, proprio dalla realizzazione e razionalizzazione delle verità che si svelavano sotto i miei occhi, è giunto il pugno allo stomaco e per un attimo, il respiro mi s’è bloccato in gola.

Poi, nonostante il distacco di navigato critico ventennale, la commozione mi ha sopraffatta.

Ho provato emozioni tanto potenti quanto diametralmente opposte a quelle provate fino a un istante prima.

Questa, è la genialità e la potenza di “1945”: è un film magistralmente costruito, da un lato, sulla psicologia e sull’interiorità dei personaggi e dall’altro, su antinomie magistrali, prima fra tutte, il bianco e nero.

Tali antinomie portano lo spettatore a registrare, a livello inconscio, azioni e reazioni, che, nel momento esatto in cui si rivelano a livello conscio, lo conducono a provare in modo vivido altrettante esperienze emozionali estremizzate ed estremizzanti.

Quindi, con piacere, v’introduco nel mondo di “1945”.

È la mattina del 12 agosto del 1945.

Siamo in un villaggio rurale ungherese.

In una casa, un uomo, che scopriremo essere István Szentes, notaio e vicario del villaggio, si fa la barba e si prepara, con calma, per le nozze del figlio, Árpád, che gestisce la drogheria locale e che quel giorno sposerà una contadinella locale di alquanto facili costumi.

L’uomo sta ascoltando un notiziario.

Vorrei già porre l’attenzione su questa prima antinomia: la tranquillità indifferente dell’uno e le notizie di guerra e distruzione che vengono trasmesse.

"Kainós Magazine® 1945 recensione al film"Contestualmente, alla stazione, arriva un treno. Scendono due uomini, due ebrei: un giovane e un vecchio.

Altra antinomia: tanto sono mesti e taciturni i due uomini, tanto, il loro semplice arrivo, provoca nervosismo e domande da parte del capostazione.

Recano con loro due casse e comprendiamo che il contenuto dev’essere molto delicato perché si raccomandano più volte con gli scaricatori, d’usare cautela, di fare piano. Dichiarano di trasportare tessuti, cosmetici e profumi e che le casse devono solo essere consegnate.

Il capostazione appare molto sospettoso. Chiede di vedere la bolla.

Quindi, dice al carrettiere di prendere tempo e fare con molta calma, mentre lui, inforca la bicicletta e sempre più agitato, corre in paese. La contrapposizione tra calma e agitazione, da questo momento, sarà sempre più forte.

In realtà, i due uomini non hanno fretta alcuna. Non vogliono salire sul carretto. Seguono a piedi, in silenzio, con una marcia cadenzata.

Da un lato: la stazione e il silenzio e la pacatezza. Dall’altro: il villaggio, ove fervono, chiassosi e rutilanti, i preparativi per il matrimonio.

Il capostazione giunge al villaggio e raggiunge il vicario in taverna. Riferisce dell’arrivo dei due ebrei. Il nome sulla bolla non corrisponde a nessuno di loro. Il notaio entra in stato di forte apprensione e si mobilita immediatamente. La notizia si diffonde.

Qui, iniziano gli interrogativi di chi guarda.

Da un lato: due uomini, che marciano, in silenzio, che nulla hanno fatto finora. Dall’altro: un intero paese che entra nel panico, si mobilita, si agita.

Da un lato, il silenzio. Dall’altro, frasi come «sono tornati» e «li hanno mandati i Pollak» si ripetono.

I due ebrei che marciano in silenzio, il villaggio che entra in frenetica isteria.

Poi, arrivano le risposte. Una, alla, volta. Sempre, più, agghiaccianti. Dosate con ritmi e modi magistrali. Si ha tutto il tempo di realizzare una verità, prima che la successiva venga rivelata.

Si ha tutto il tempo di razionalizzare una spiegazione e sentire l’amaro in bocca dell’emozione evocata, prima che un’altra, ben peggiore, giunga a definire la prima.

Le domande che invadevano la mia mente si sono trasformate in disprezzo. Si può provare compassione verso la debolezza umana, ma non verso la scelta voluta, deliberata, cercata.

L’anima più nera dell’essere umano si mostra in tutta la sua pochezza: codardia, cupidigia, meschinità.

Le antinomie si fanno potenti, sconcertanti, annientanti, di fotogramma in fotogramma.

A un certo punto, tutto prende senso. Lucidamente. Inequivocabilmente.

Da un lato, la gente del villaggio e il frastuono della paura d’una coscienza sporca; dall’altro, i due ebrei e il silenzio del coraggio.

La codardia contro il valore, la vergogna contro la dignità, la bassezza contro la compostezza, l’ipocrisia contro la verità.

Antinomie potenti ed emozioni troppo opposte per impedire alle lacrime di scendere.

Il film si chiude col fumo nero d’un incendio appena spento, che si disperde nel vento. Impossibile non pensare ai camini dei lager ed è impossibile non riflettere, a lungo, sulla natura umana.

“1945” è, decisamente, un film da vedere, perché è troppo intelligente per permettersi di perderlo.

Concludendo, non si può che fare menzione di lode anche all’interpretazione: Péter Rudolf nel ruolo del vicario István Szentes, Eszter Nagy-Kálózy e Bence Tasnádi, rispettivamente la moglie e il figlio del vicario, Dóra Sztarenki nella parte della futura sposa, Iván Angelusz e Marcell Nagy, rispettivamente nei ruoli del vecchio ebreo e di suo figlio.

 

Gallery per gentile concessione Ufficio Stampa Carlo Dutto:

 

Trailer per gentile concessione Ufficio Stampa Carlo Dutto:

 

 

 

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